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Nicoletta Maraschio professoressa emerita dell'Università di Firenze
Monica Berté e Maurizio Fiorilla
Laura Boldrini all'Accademia della Crusca
Max Pfister e Massimo Fanfani

"Restuire ai cittadini la fiducia nell'italiano", l'articolo di Claudio Marazzini sulla Repubblica


Sulle pagine della "Repubblica" del 2 gennaio 2015 il presidente dell'Accademia della Crusca Claudio Marazzini parla di forestierismi e spiega le attività in cui l'Accademia sarà impegnata nel 2015.
Alleghiamo e riportiamo qui sotto il testo dell'articolo:
 
«Nel 2014, in quanto presidente della Crusca, sono stato invitato a un evento che riuniva molti rappresentanti del ceto imprenditoriale della Toscana. Ecco la mail dell’appuntamento: “Le confermiamo la partecipazione alla seconda edizione dei Tuscany Awards che si terrà domani, 14 ottobre p.v., a Firenze, presso il Conventino dell’Hotel Four Seasons. L’evento avrà inizio alle ore 19.30 con un cocktail di benvenuto e proseguirà alle 20.00 con una cena di gala durante la quale si svolgerà la premiazione. Il dress code per la serata sarà Business Attire”.
 
Passi per il nome straniero dell’albergo, adatto ai turisti. Passi per il nome del premio, copiato da analoghe iniziative americane. Nulla da dire ormai sull’acquisito cocktail, che al tempo del fascismo si tentò vanamente di rimpiazzare con il buffo “arlecchino”. Ma il “dress code” e il “business attire”?
Qualche nozione linguistica per capire meglio la situazione. I linguisti un tempo distinguevano le parole straniere passate all’italiano in “prestiti di necessità” e “prestiti di lusso”. Canoa, caffè, cioccolata, abatjour, goal, rosbif, computer, mouse arrivarono come utili cose nuove. Tutto bene.
A volte, però, si presentano parole superflue: Sono i “prestiti di lusso”, condannati dai puristi, mentre i linguisti-notai, impassibili, prendono atto delle novità e sentenziano: chi adotta un forestierismo inutile, “di lusso”, è comunque spinto da un impulso necessario e irrefrenabile, quindi la distinzione tra le due categorie di prestiti viene meno.
Il ragionamento, adatto a giustificare anche “dress code” e “business attire”, non fa una piega. Perché “location” prevale su luogo e “mission” su compito, scopo o missione? “Dress code” e “business attire” sono complicate etichette, forse necessarie in America, assolutamente inutili in Italia, dove per antica civiltà non si usa andare ai ricevimenti senza calze o in ciabatte. Dunque, come può nascere la mail che abbiamo letto in apertura, intitolata fra l’altro (dimenticavo di dirlo) “Gentle Reminder”?
La spiegazione: persino in Toscana, patria della lingua, persino a Firenze, patria di Dante, la classe dirigente italiana ha perso fiducia nella lingua nazionale. Per questo il primo scopo dell’Accademia, a partire dal 2015, dev’essere proprio ristabilire appieno questa fiducia.
A febbraio l’Accademia organizzerà con Coscienza Svizzera e con la Dante Alighieri un convegno sulle possibili o impossibili sostituzioni degli anglicismi molesti. Avremo inoltre: un corso per insegnanti dedicato alla lingua italiana della scienza, ben cinque corsi per i giornalisti, in collaborazione con l’Ordine di Toscana; avremo l’ormai celebre “Piazza delle lingue”, quest’anno dedicata alle “Parole del cibo”, trasferita eccezionalmente all’Expo di Milano (potevamo mancare?); avremo qui a Firenze le celebrazioni per Dante 2015-2021. Continueranno le attività di studio, la collaborazione con le istituzioni culturali, con i ministeri dell’Istruzione e degli Esteri, con il Cnr/Ovi. Ospiteremo studiosi e studenti. Segnaleremo e premieremo i migliori istituti di italiano all’estero. Collaboreremo attivamente alla seconda edizione degli “Stati generali della lingua italiana”, dopo l’edizione del 2014 che ha visto l’uscita del primo e-book nella storia dell’Accademia, realizzato con la società fiorentina GoWare. Ma tutto questo non avrebbe senso senza perseguire il primo e più grande compito (volete dire “mission”? ok, pur che ci capiamo…): restituire agli italiani, e prima di tutto ai fiorentini, la piena e assoluta fiducia nella loro grande lingua.
 
Claudio Marazzini»